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N.B.: Tutti i contenuti presenti in questo sito hanno come scopo quello di diffondere la cultura e l'informazione psicologica. Non possiedono quindi alcuna funzione diagnostica e non possono sostituirsi ad un consulto specialistico.

NELLA SEZIONE:

-Disturbi Neuropsicologici cause, diagnosi, trattamento e qualit� di vita

-Disturbi del linguaggio, della lettura e della scrittura

- Le Aprassie

- I Disturbi della Memoria

- I Disturbi delle Funzioni Esecutive

- I Disturbi dell’Attenzione

- La Riabilitazione Neuropsicologica e Qualit� di vita



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-Disturbi Neuropsicologici cause, diagnosi, trattamento e qualit� di vita

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Il concetto base della neuropsicologia � che i processi cognitivi sono correlati con il funzionamento di specifiche strutture cerebrali. I danni alle strutture cerebrali possono generare disturbi delle funzioni cognitive e questi ultimi si manifestano con una serie di effetti osservabili dal comportamento e valutabili con prove formalizzate, i test.
La neuropsicologia clinica descrive i quadri cognitivi e comportamentali che si realizzano a seguito di lesioni cerebrali e ne ricerca la spiegazione alla luce di modelli interpretativi cognitivi o neurofunzionali.
Pi� specificatamente la neuropsicologia clinica studia gli effetti cognitivi dei danni cerebrali in seguito ad eventi patologici come ictus cerebrali, traumi cranici, neoplasie, processi degenerativi, epilessie, uso di sostanze psicotrope, ed encefaliti (Grossi et al, 2003).
Oggi siamo in grado di identificare una lesione cerebrale attraverso i metodi neuroradiologici, come la tomografia computerizzata (TC) e la risonanza magnetica (RM), che consentono il rilievo della sede, dell’estensione e della natura della lesione cerebrale.
Tuttavia, per vari motivi, la correlazione tra sede anatomica del danno e funzione deficitaria non � cos� facile ed intuitiva come si pu� pensare, infatti, una lesione cerebrale di regola colpisce zone del cervello di estensione e localizzazione variabile, in alcuni casi si pu� ipotizzare che la sede del disturbo determini un certo disturbo cognitivo in maniera indiretta: l’effetto cognitivo osservato non � dovuto al malfunzionamento della sede lesionata ma a quello di un’area funzionalmente connessa con quella anatomicamente danneggiata.
Tali effetti possono essere rilevati con l’uso di metodi neuroradiologici funzionali, per misurare il flusso del sangue nelle aree cerebrali (PET o SPECT), o con metodiche che danno informazioni contemporanee sull’anatomia del cervello e sulle attivazioni delle aree cerebrali durante un’attivit� mentale (RMF).
La valutazione accurata in termini quantitativi e qualitativi delle prestazioni cognitive e, quindi, la dimostrazione del deterioramento di una certa abilit� � affidata all’esame neuropsicologico. Attraverso una serie di test � possibile stabilire se, ad esempio, le abilit� di memoria, attenzione, linguaggio, pensiero logico-astratto di una certa persona sono adeguate per le sua et� e per il suo livello di istruzione oppure se quell’individuo presenta alcune prestazioni al di sotto della norma.
Avendo individuato l’area o le aree deficitarie, su di esse si focalizza la valutazione formalizzata, mediante prove specifiche. Tuttavia � importante avere un profilo quanto pi� possibile esauriente delle abilit� del paziente, utilizzando anche prove per le aree cognitive apparentemente non danneggiate.
Bisogna procedere attraverso la raccolta delle informazioni sulla storia clinica neuropsicologica del paziente, la selezione, somministrazione e interpretazione dei test e delle tecniche di misura adeguate, la formulazione della diagnosi e la pianificazione del trattamento.
La valutazione ha inoltre l’obiettivo di contribuire ad una diagnosi differenziale, delimitare e definire le funzioni danneggiate e preservate dopo una lesione focale o diffusa del Sistema Nervoso Centrale, valutare l’efficacia terapeutica a seguito di specifici interventi chirurgici, farmacologici o psicologici, valutare le conseguenze dei deficit sulla vita sociale lavorativa del paziente anche ai fini dell’accertamento medico legale, valutare lo stato cognitivo per la formulazione di strategie riabilitative e di intervento.
Sebbene la neuropsicologia � una scienza vastissima, con molteplici ambiti di applicazione, di seguito si prover� a descrivere brevemente i pi� frequenti disturbi neuropsicologici.

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-Disturbi del Linguaggio, della Lettura e della Scrittura

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I deficit della capacit� di comprendere, elaborare e produrre messaggi linguistici (Afasia) � uno dei disturbi pi� evidenti e pi� invalidanti conseguente a lesioni cerebrali. Tali lesioni riguardano l’emisfero di sinistra definito “dominante” per il linguaggio, e soprattutto di alcune delle sue aree frontali, parietali e temporali.
Le sindromi afasiche sono situazioni in cui nessun deficit sensoriale, uditivo o visivo, � responsabile del quadro clinico, e in cui non � possibile attribuire i disturbi della produzione orale a paralisi o a cattiva coordinazione dei muscoli della bocca o del volto(Grossi et al, 2003).
Per definizione, i pazienti afasici presentano un grado variabile di deficit della comprensione dei messaggi verbali; nei casi pi� eclatanti, il paziente non � in grado di comprendere neanche singole parole concrete, mentre nei casi pi� lievi il deficit di comprensione si manifesta nell’incapacit� a formulare i pensieri, o un’alterata interazione con l’ambiente.
La caratteristica pi� evidente dell’afasia consiste in un’alterazione del linguaggio spontaneo, alcuni pazienti afasici fluenti si esprimono con sequenze abbastanza lunghe di parole che non sempre sono in relazione tra loro e che non rispettano le normali strutture sintattiche; nei casi pi� gravi l’eloquio risulta incomprensibile e vuoto.
Tipicamente tali pazienti non si rendono conto dei propri errori e si esprimono in maniera fluida, con le pause e le intonazioni tipiche del linguaggio normale, ma la comunicazione � caratterizzata da una totale assenza di contenuto informativo, la produzione orale � costituita prevalentemente da frammenti sillabici e da parole senza senso.
Comportamento diverso si riscontra nei pazienti che si esprimo con lentezza e difficolt�, afasici non fluenti, producendo parole isolate o frasi e sintagmi molto semplificati, spesso accompagnanti da incertezze ed errori nel realizzare l’articolazione dei suoni, lo stile espressivo � molto schematico, le frasi sono prevalentemente composte da sostantivi e varie forme verbali, talvolta non flesse, con omissioni di articoli, pronomi e congiunzioni, anche l’intonazione � alterata. In contesti facilitanti, quando viene attivata la risposta in via automatica, tali pazienti possono produrre risposte corrette.
Questi pazienti si rendono conto delle proprie difficolt� e reagiscono con violente espressioni di rabbia e sconforto quando non riescono ad esprimersi. Rispetto alla correlazione con i siti della lesione cerebrale le afasie fluenti sono prevalentemente associate a danni delle regioni posteriori, temporo-parietali dell’emisfero sinistro, mentre le afasie non fluenti sono correlate perlopi� a lesioni anteriori, che coinvolgono le aree frontali dell’emisfero sinistro(Grossi et al, 2003).
I disturbi de linguaggio sono strettamente connessi allo studio dell’alterazione del linguaggio scritto.
Si distinguono, infatti, i seguenti quadri clinici:
- disturbi di lettura in corso di sindrome afasica (alessia afasica), frequentemente associati a lesioni delle aree parietali e temporali dell’emisfero sinistro;
- disturbi di lettura associati a disturbi di scrittura, ma senza altri grossolani disturbi linguistici (alessia con agrafia), indice di lesioni parietali sinistre;
- disturbi selettivi della lettura (alessia pura o alessia senza agrafia), legati a lesioni del lobo occipitale di sinistra. A queste sindromi dislessiche acquisite si pu� aggiungere l’alessia da eminegligenza, caratterizzata dall’assocazione di disturbi di lettura con disturbi dell’esplorazione visiva, in questo caso i soggetti non sono in grado di leggere correttamente la met� degli stimoli che compare nella parte negletta dello spazio.
Questa classificazione non tiene conto del fatto che i pazienti si differenziano per la qualit� e il tipo di errori commessi nella lettura ad alta voce.
Per la diagnosi di dislessie acquisite si utilizzano prevalentemente prove di lettura di singoli stimoli. Alcuni esempi di errori tipici sono gli errori visivi caratterizzati da una somiglianza visiva tra uno stimolo e la risposta del paziente.
Nei casi pi� semplici l’errore consiste nella sostituzione, nell’omissione, nell’aggiunta o nell’inversione di una sola lettera. Gli errori morfologici presentano la radice lessicale in comune con lo stimolo, mentre viene letta in maniera errata la parte di parola che fornisce informazione circa il genere e il numero o circa il tempo nel caso dei verbi. Anche negli errori derivazionali la radice � comune a stimolo e risposta ma in questo caso viene letta in maniera errata la parte si parola che fornisce informazioni circa la funzione grammaticale.
In generale errori ripetuti alle prove di lettura ad alta voce inserite in qualunque esame del linguaggio sono sufficienti a diagnosticare la presenza di una dislessia acquisita.
Strettamente connesse alle dislessie sono le disgrafie o agrafie, disturbi della scritturai cui errori tipici sono quelli che si possono identificare anche nelle dislessie, e, anche in questo caso, le prove inserite nei comuni esami del linguaggio sono utili ai fini diagnostici (Grossi et al.2003).

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Le Aprassie

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Una lesione corticale pu� compromettere specificatamente la capacit� di programmare i movimenti, in assenza di disturbi percettivi elementari o disturbi della forza (paresi) o della coordinazione motoria. Si determina cos� un quadro di aprassia cio� un’incapacit� a eseguire i gesti causata da un disturbo specifico della programmazione motoria.
I pazienti aprassici mostrano difficolt� nello scegliere e nell’eseguire nel giusto ordine i singoli atti motori che compongono un gesto o una sequenza motoria pi� complessa.
Sulla base di questa definizione si potrebbe immaginare che tali pazienti incontrino gravi difficolt� nella vita di tutti i giorni, in quanto ognuno di noi esegue di continuo un’enorme quantit� di movimenti finalizzati, ad esempio mentre si mangia o ci si veste.
Invece, in realt�, solo i pazienti affetti da forme gravi di aprassia possono mostrare difficolt� nell’eseguire gesti abituali richiesti dalle necessit� quotidiane, mentre i disturbi aprassici di solito interferiscono poco con l’autonomia della vita quotidiana.
Infatti risulta sorprendente la dissociazione automatica/volontaria, il paziente spesso esegue senza alcuna difficolt� i movimenti richiesti dal contesto, ma diventa incapace di riprodurre gli stessi movimenti su richiesta verbale o su imitazione dell’esaminatore.
Tali pazienti possono avere difficolt� nel programmare come eseguire i movimenti, ad esempio nell’utilizzare un oggetto, nell’abbigliarsi, nel camminare o nella programmazione dei movimenti della bocca e del volto.

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I Disturbi della Memoria

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L’amnesia � un disturbo della memoria caratterizzato dall’incapacit� di rievocare le esperienze passate e di acquisire nuove informazioni. Tale deficit � indipendente dai disturbi intellettivi, linguistici o percettivi, in casi gravi il disturbo amnesico � estremamente invalidante e i paziente necessitano di continua assistenza.
Alcuni pazienti possono presentare una totale mancanza di coscienza di malattia, questo fenomeno pu� essere un ostacolo al processo riabilitativo.
Le sindromi amnestiche possono essere causate da diversi eventi neurologici: ictus, neoplasie, interventi neurochirurgici, improvvisa riduzione dell’ossigeno al cervello, infezioni cerebrali, intossicazioni croniche (spesso dovute al consumo cronico di alcol), processi degenerativi (demenze), e traumi cranici.
Queste diverse patologie possono ledere una o pi� strutture cerebrali coinvolte nel normale funzionamento dei processi di memoria: porzioni mediali dei lobi temporali, strutture dienfecaliche, regioni orbitali dei lobi frontali. Queste strutture, compreso il sistema limbico, sono connesse tra loro e costituiscono una fitta rete.
La memoria � considerata una funzione multi componenziale (Tulving, 1985), � un insieme di processi cognitivi che sono relativamente indipendenti e che possono essere danneggiati in maniera selettiva da una lesione cerebrale.
I processi si distinguono principalmente in memoria a breve termine, come capacit� di mantenere per alcuni secondi un numero limitato di informazioni provenienti da diverse fonti sensoriali, tali informazioni vengono gestite da un sistema di controllo chiamato memoria di lavoro.
Nella memoria a lungo termine risiedono, invece, tutte quelle informazioni acquisiste che possono essere sottoposte a processi di attivazione e di elaborazione. All’interno della memoria a lungo termine distinguiamo la memoria dichiarativa cio� la memoria il cui tipo di contenuto, una volta affiorato, pu� essere espresso verbalmente, e la memoria non dichiarativa che fa riferimento alle abilit� mestiche non coscienti, la cui esistenza pu� essere rilevata soltanto attraverso il contenuto manifesto del soggetto, per esempio l’andare in bicicletta.
Quindi lesioni selettive causate per esempio da traumi cranici o da eventi vascolari possono provocare deficit selettivi per ognuno dei diversi comparti della memoria, spesso associati a disturbi comportamentali come apatia, irritabilit�, disinibizione.
Le malattie degenerative come la demenza di Alzheimer, invece, comportano una progressiva perdita di tutte le componenti della funzione mnestica, a partire dalla memoria a breve termine, la perdita della capacit� di immagazzinamento delle informazioni nuove, procedendo con la perdita della memoria a lungo termine e in fasi gravi della malattia anche della memoria non dichiarativa, perdendo, quindi, anche la memoria delle abilit� motorie, percettive e cognitive.
In alcuni stati demenziali acuti come la malattia di Alzheimer o la sindrome di Korsacoff (demenza da abuso di alcol cronico) si evidenzia una frequente tendenza alla confabulazione, ovvero una tendenza a fornire risposte false, a volte floridi racconti fantasiosi, senza la deliberata intenzione, tale sintomatologia pu� essere interpretata come un tentativo inconsapevole di nascondere o compensare i deficit di memoria.
Tali sindromi demenziali sono spesso accompagnate da gravi disturbi comportamentali riguardanti la sfera umorale, quali depressione ansia, apatia, ma anche irritabilit�, disturbi del sonno, disturbi dell’alimentazione, comportamento motorio aberrante, deliri ed allucinazioni(Grossi et al. 2003).

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I Disturbi delle Funzioni Esecutive

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I deficit cognitivi indotti da lesione delle aree prefrontali non coinvolgono singole abilit� cognitive percettive, motorie o linguistiche, ma riguardano piuttosto il modo in cui tale abilit� sono sfruttate dal paziente per mantenere un comportamento appropriato ai diversi contesti personali e sociali.
Le funzioni “frontali” sono, dunque abilit� complesse ed evolute che per loro natura sfuggono ad una semplice sistematizzazione, si definiscono, in questo senso, funzioni esecutive le capacit� di organizzazione e pianificazione del comportamento, e sindrome disesecutiva il quadro sintomatologico che deriva dall’alterazione di tale abilit�.
Volendo ottenere una sintesi delle funzioni frontali o esecutive si pu� dire che esse consistono nella capacit� di elaborare interpretazioni astratte di stimoli o materiali concreti e di modificarle in caso di necessit�, nella capacit� di pianificare le azioni prevedendone i possibili sviluppi, nella capacit� di inibire comportamenti semplici e automatici in funzione di un processo pi� evoluto e complesso; nella capacit� di organizzare e ordinare le proprie esperienze e conoscenze secondo criteri coerenti e nuovi.
Non sempre tutte queste abilit� sono ugualmente compromesse, la variabilit� dell’espressione clinica pu� derivare dall’ampiezza della zona lesa. Caratteristica di tali pazienti sono alcuni disturbi del comportamento inibitorio, si riscontra inoltre irritabilit�, agitazione, apatia, disinibizione (Grossi & Trojano, 2003).

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I Disturbi dell’Attenzione

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Lo studio neuropsicologico sistematico dei disturbi attenzionali ha una storia comparativamente pi� recente rispetto ad altre aree del funzionamento cognitivo, quali la memoria o il linguaggio. In questo ambito una patologia di particolare interesse per la sua frequenza e le sue importanti implicazioni sociali � rappresentata dai traumi cranici chiusi.
La percentuale dei pazienti � particolarmente elevata (circa lo 0.3% della popolazione) e colpisce fasce d’et� giovanile (soprattutto tra i 15 e i 35 anni). L’esame di questi pazienti indica che presentino chiari disturbi attenzionali anche a notevole distanza dall’evento traumatico.
Soggettivamente i pazienti riportano di essere facilmente irritabili, affaticabili, ecc. (Van Zomeren e Van Den Burg, 1985). I disturbi dell’attenzione possono riguardare sia l’attenzione selettiva, quindi la capacit� di dividere le nostre risorse tra i diversi canali che richiedono una risposta, per esempio alternando (switching) la nostra attenzione tra i due canali d’informazione, sia l’intensit� della nostra risposta.
Ci sono delle situazioni di pericolo (ad esempio stiamo attraversando la strada in modo distratto e sentiamo il clacson della macchina) in cui un segnale di avvertimento innalza molto rapidamente la nostra capacit� di rispondere allo stimolo, l’organismo modifica in modo fasico la propria capacit� e rapidit� d’emissione della risposta.
Altre situazioni descrivono casi in cui una risposta attentiva ci � richiesta per tempi prolungati. Ad esempio, capita di dover guidare per molte ore, magari in autostrada con limitate fonti d’interesse.
Come si pu� ben capire l’attenzione non risulta essere un fenomeno unitario, ma � descritta nel modo migliore come una classe di processi qualitativamente diversi, caratterizzata sia da una dimensione selettiva sia da una dimensione d’intensit�. I processi attenzionali non operano nel vuoto, non ci sono compiti esclusivamente attenzionali, ma sono processi che modulano l’attivit� di altri processi come la memoria o la percezione (Mazzucchi, 2003).
Quindi sia a livello diagnostico che riabilitativo � molto utile utilizzare un approccio olistico che tenga in considerazione tutto il quadro neuoropsicologico ma anche quello comportamentale. Infatti, anche stati depressivi o disturbi d’ansia possono comportare deficit attentivi o della memoria.

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La Riabilitazione Neuropsicoligica e Qualit� di vita

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L’allungamento della vita media comporta che l’attesa di vita di pazienti colpiti da patologie neurologiche sia assai pi� lunga che in passato. I grandi miglioramenti delle tecniche rianimative e l’aumento della scolarizzazione media comportano che pazienti con sequele di patologie neurologiche possano attingere a potenziali residui pi� elevati che in passato.
La crescente domanda di interventi riabilitativi � inoltre legata al forte impatto sociale dei traumi cranici, patologie invalidanti che riguardano assai spesso soggetti giovani.
La neuro-riabilitazione ha ricevuto poca attenzione fino ad epoche molto recenti, il pensiero neurobiologico, infatti, ha considerato estremamente limitato il potenziale plastico del sistema nervoso dell’adulto, e quindi velleitario e inconcludente ogni tentativo di riabilitazione.
Sulla base di studi classici si riteneva che la maggior parte delle modificazioni del sistema nervoso centrale si verificasse quasi esclusivamente entro periodi dello sviluppo detti critici. Oggi, anche se rimane verosimile che la massima suscettibilit� al cambiamento abbia luogo entro periodi definiti, numerosissime ricerche hanno dimostrato che il sistema nervoso dell’adulto � tutt’altro che statico.
� nozione comune che l’apprendimento implichi cambiamenti funzionali e/o strutturali del sistema nervoso, una rigida applicazione della regola della fissit� delle connessioni nervose in et� adulta contrasta con il fatto che l’apprendimento, in assenza di patologie specifiche, pu� aver luogo a qualunque et� (Mazzucchi, 2003).
Emerge che molte rappresentazioni cerebrali sono dinamiche e vengono continuamente rimodellate: alcuni studi hanno riportato evidenze di neuro plasticit� post-lesionale (Eysel, 1997), nonch� del’efficacia della terapia riabilitativa nell’espansione della rappresentazione nervosa danneggiata da una lesione vascolare, e quindi nel miglioramento della sintomatologia (Liepert et al., 1998).
La grande sfida della riabilitazione non � semplicemente di favorire e sfruttare le capacit� neuro plastiche, ma anche di inibirle nei casi in cui esse comportano effetti negativi. Oggetto della riabilitazione neuropsicologica � creare questa stimolazione ambientale con un approccio olistico ed individualizzato, che risponda ai bisogni cognitivi, emotivi e motivazionali del paziente.
Spesso le abilit� di base e strumentali della vita quotidiana risultano compromesse, il paziente non � in grado di provvedere autonomamente a semplici compiti come fare la spesa, rispondere al telefono, pagare le bollette o uscire di casa in autonomia, in alcuni casi pi� gravi il paziente ha bisogno di assistenza anche nella cura personale, risulta evidente comprendere la forte compromissione della qualit� di vita di questi soggetti e di chi si occupa di loro.
Lo scopo della riabilitazione neuropsicologica � di migliorare l'adattamento funzionale del paziente nonostante il danno cerebrale subito. La metodologia terapeutica � il mezzo con il quale raggiungere l'obiettivo, ha le sue radici nelle scienze cognitive e nel comportamentismo, si pu� basare sulla stimolazione specifica di un processo cognitivo leso tramite la quale viene facilitato l'accesso ad un’informazione che � relativamente intatta ma inaccessibile.
Oppure attraverso la stimolazione e il riadattamento funzionale di moduli cognitivi preservati, o abilit� residue, e superamento degli effetti inibitori, in questo modo vengono sviluppate nuove abilit�, coinvolgendo differenti processi cognitivi, per svolgere una determinata funzione.
Quindi si procede per ottimizzare il recupero delle abilit� cognitive danneggiate (l’attenzione, il linguaggio, la comunicazione verbale e non verbale, le azioni, la percezione, la memoria, le capacit� visuo-spaziali, il ragionamento, le funzioni esecutive, le emozioni e il comportamento) e facilitare le strategie che permettono di compensare i deficit e di migliorare le capacit� d’adattamento del paziente.
Il trattamento si occupa anche dei disturbi del comportamento ed emozionali, spesso associati ai deficit, e del sostegno psicologico ai familiari o a chi si occupa del paziente.

http://www.capsulaeburnea.unipa.it/

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Bibliografia
Van Zomeren AH. E Van Der Burg W.R. (1985) Residual Complains of patients two years after severe head injury. Journal of Neurology, Neurosurgery and Psychiatry, 48: 21-28.
Eysel U.T.. (1997) “Perilesional cortical dysfunction and reorganization”. In Freund H.J., Sabel B.A. e Witte O. W. (eds), Brain Plasticity, “Advances Neurology”, 73. Lippincott- Raven Publishers,195-206.
Liepert J., Miltner W. H. R., Bauder H., Sommer M. Dettmers C., Taub E. , Weiller C. (1998) Motor cortex plasticity during contraint-induced movement therapy in stroke patient. Neuroscience Letter, 250: 5-8.
Tulving E. (1985) How many Memory system are there?, in American Psychologist”, 40, pp. 385 98
Grossi D., Trojano L., (2003). Lineamenti di neuropsicologia clinica. Carocci Editore.
Mazzucchi A., (2003), La Riabilitazione Neuropsicologica. Premesse teoriche e applicazioni tecniche. Masson.

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Dott.ssa Psicologa
Ventimiglia Giusi Daniela
Dottoressa di Ricerca in Medicina molecolare e sperimentale
Universit� degli Studi di Palermo.
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Dott.ssa Giusi Daniela Ventimiglia Cel. 389 1866017